Usi medici della cannabis. scheda storica

 

La memoria è un ingranaggio collettivo
La Cannabis indica – pianta probabilmente originaria dell'Asia centro-orientale – è stata usata in medicina per millenni. Era certamente coltivata in Cina nel 4000 a.C., ed è inclusa nella più antica farmacopea conosciuta, il Pen Ts'ao, tradizionalmente attribuita al mitico imperatore Shen Nung (III millennio a.C.). In India, il suo uso nella medicina tradizionale risale al II millennio a.C. In occidente, invece, il suo uso medico è stato sempre alquanto marginale, e ha assunto una certa rilevanza solo nel XIX secolo e nei primi decenni del XX.
Nell'antichità, la Cannabis indica fu considerata utile in numerose e assai diverse malattie. Il Pen Ts'ao la raccomanda per il trattamento di "disordini femminili, gotta, reumatismo, malaria, stipsi e debolezza mentale". Intorno al 220 d.C. il grande chirurgo cinese Hua T'o ne descrive l'uso a scopo analgesico e anestetico nei diversi sofisticati interventi "senza dolore" per cui era famoso. Altri medici cinesi scrivono che la canapa è utile nelle "malattie da deperimento e nelle ferite", nonché per "purificare il sangue, abbassare la temperatura, ridurre i flussi, risolvere i reumatismi, scaricare il pus". In India, la Cannabis è citata nell'Atharvaveda (II millennio a.C.) come "pianta che libera dall'ansia", mentre nel più antico testo medico della tradizione Ayurvedica, basato sulla dottrina di Susruta (II millennio a.C.), è citata semplicemente come "rimedio". In realtà, la Cannabis in India assume un ruolo del tutto particolare: come pianta sacra a Shiva, viene usata in rituali religiosi; come inebriante, è elemento centrale nella cultura popolare; e infine, come farmaco, viene utilizzata in diversi sistemi della medicina tradizionale (Ayurveda, Unani, Tibbi) e lo sarà fino ai nostri giorni. Secondo la "nota" curata da J.M. Campbell, e inclusa nell'Appendice III del famoso Indian Hemp Drugs Commission Report (1893-4), la bhang cura in primo luogo la febbre agendo "non direttamente ovvero fisicamente come un farmaco ordinario, ma indirettamente ovvero spiritualmente calmando gli spiriti rabbiosi a cui la febbre è dovuta"; inoltre ha molte altre virtù medicinali: "raffredda il sangue caldo, provoca il sonno negli ipereccitati, dona bellezza e assicura lunga vita. Cura la dissenteria e i colpi di calore, purifica il flegma, accelera la digestione, stimola l'appetito, corregge la pronuncia nella blesità, rinfresca l'intelletto, dona vivacità al corpo e gaiezza alla mente. (…) la ganja in eccesso provoca ascessi, o anche pazzia".
Per quanto riguarda il Medio Oriente e l'area mediterranea, in cui la Cannabis (specie nel mondo islamico) ha un grande ruolo come inebriante e "droga sociale", si hanno nell'antichità solo rare citazioni di interesse medico. Possiamo ricordare le tavolette mediche assire della biblioteca di Assurbanipal (VII sec. a.C.), che citano la canapa come antidepressivo; il grande Dioscoride (I sec. d.C.), che nella sua Materia Medica, non solo ci offre una delle più antiche raffigurazioni della Cannabis, ma anche ne raccomanda l'uso per mal d'orecchi, edemi, itterizia e altri disturbi; e infine, un secolo dopo, il più famoso medico della Roma imperiale, Galeno, secondo il quale le preparazioni di canapa vengono usate come dessert per "stimolare il piacere", ma possono anche servire contro le flatulenze, il mal d'orecchi e il dolore in genere. Usate in eccesso "colpiscono la testa, immettendovi vapori caldi e intossicanti".
Per tutto il Medio Evo e il Rinascimento, l'uso più importante della Cannabis è per ricavarne le fibre per corde, tessuti e carta. Le gomene, le sartie e le vele delle navi sono ottenute dalla canapa, ed è per questo che la pianta, già estesamente coltivata in Europa, viene immediatamente importata in America, al sud da spagnoli e portoghesi, e al nord da inglesi e francesi. Non mancano anche in questo periodo interessanti notazioni mediche: Garcia da Orta, medico portoghese di servizio presso il vicerè a Goa, in India, nel suo "Colloqui sui semplici e sulle droghe dell'India" del 1563 – forse il più importante documento sulle piante medicinali dopo l'erbario di Dioscoride – cita l'uso di Cannabis come stimolante dell'appetito, oltre che come sonnifero, tranquillante, afrodisiaco e euforizzante. E' certo che il suo libro – almeno fino a che quasi tutte le copie conosciute non furono bruciate dall'Inquisizione quando, dopo la sua morte, si scoprì che da Orta era in realtà ebreo – introdusse l'Europa all'uso medico di questa e altre droghe. Un contributo simile fu dato dall'opera di poco successiva "Sulle droghe e le medicine delle Indie Orientali" (1578) del suo collega Cristobal Acosta. Più tardi, anche Englebert Kampfer, medico-botanico-storico-diplomatico tedesco, ambasciatore del re di Svezia in Persia e poi medico capo della flotta della Compagnia Olandese delle Indie Orientali, descrisse nel suo "Amenitates exoticae" (1712) gli usi di molte piante medicinali, tra cui la canapa, in Persia e in India.
In Europa, Robert Burton nel suo classico "The anatomy of melancholy" (1621) suggerisce la possibile utilità della canapa in quella che oggi chiameremmo "depressione". Nel 1682, il New London Dispensatory afferma che la Cannabis "cura la tosse e l'itterizia ma riempie la testa di vapori". E il New English Dispensatory del 1764 raccomanda di bollire le radici della canapa e di applicare il decotto sulla pelle per ridurre le infiammazioni, nonché per "disseccare i tumori" e per sciogliere i "depositi nelle articolazioni". Nel famoso "Erbario" di Nicolas Culpeper (1812) vengono elencate in dettaglio tutte le applicazioni mediche conosciute della canapa, a partire da quelle suggerite dai classici di Dioscoride, Galeno e Plinio, ma nel Dictionaire des Sciences Médicales (Paris, 1813) si afferma che l'unica parte della pianta usata a fini medici in Europa sono i semi, ritenuti utili nella cura delle malattie veneree.
E possiamo concludere questa prima parte dedicata alla storia medica antica con una nota tassonomica, e cioè ricordando che nel 1753 Linneo battezzò la canapa Cannabis sativa, considerando l'esistenza di un'unica specie, mentre nel 1783 Lamarck ritenne, sulla base di significative differenze morfologiche, di dover distinguere il genere Cannabis in due specie distinte: la C. sativa, nativa dell'Europa, e la C. indica, propria dell'oriente.
L'importanza della Cannabis, sempre relativamente marginale nella medicina occidentale, fu decisamente accresciuta a seguito della campagna d'Egitto di Napoleone (1798), dopo la quale l'hashisch – inteso essenzialmente come sostanza inebriante ed euforizzante – divenne noto in Francia, anche se soprattutto in circoli intellettuali come il famoso Club des Hachischins, a cui parteciparono personaggi come lo psichiatra Moreau de Tours e artisti come Gautier, Dumas, Nerval, Hugo, Delacroix e Baudelaire. In effetti è dalla tradizione orientale, e soprattutto indiana, che la medicina europea e americana trarranno intorno al 1840 le loro conoscenze. Probabilmente, i testi che ebbero maggior influenza in occidente furono "On the preparations of the Indian Hemp, or Gunjah" di William B. O'Shaughnessy, medico inglese in servizio in India e "De la peste ou typhus d'orient suivi d'un essai sur le hachisch" di L. Aubert-Roche, oltre al "Du hachisch" già citato di J.J. Moreau de Tours, pubblicato nel 1845. Solo a partire da questo periodo si può dire che l'uso medico della Cannabis conobbe una certa diffusione anche in occidente: estratti e tinture a base di Cannabis rimarranno sugli scaffali delle farmacie – in Italia e in Europa come negli USA – sino alla seconda guerra mondiale e oltre.
Se Aubert-Roche riferisce sull'utilizzo dell'hachisch contro la peste, e Moreau de Tours lo considera sia uno strumento di indagine della mente, sia un farmaco efficace in varie malattie mentali (melancolia, inclusa la forma ossessiva di "idée fixe", ipomania, e malattie mentali croniche in genere), O'Shaughnessy attinge alla vastissima tradizione medica indiana e presenta il più ricco repertorio. Dopo un ampio excursus sulla letteratura medica, inclusa quella antica, O'Shaughnessy riferisce dettagliatamente sull'uso di Cannabis nelle seguenti condizioni: reumatismo acuto e cronico, idrofobia, colera, tetano e convulsioni infantili. Dopo un cenno al "delirio" causato dall'intossicazione cronica, riporta i metodi da lui impiegati per preparare l'estratto e la tintura di "gunjah", e i dosaggi consigliati nei diversi casi.
Fra il 1840 e il 1900, secondo Walton, furono pubblicati più di 100 articoli sugli usi medici della Cannabis.
Nel 1854 la Cannabis viene inclusa per la prima volta fra i farmaci dello U.S. Dispensatory, con le seguenti proprietà: "potente narcotico (…) Si dice che agisca anche come deciso afrodisiaco, che stimoli l'appetito e che occasionalmente induca uno stato di catalessi. (…) produce il sonno, allevia gli spasmi, calma l'irrequietezza nervosa, allevia il dolore. (…) [come analgesico] differisce dall'oppio perché non diminuisce l'appetito, non riduce le secrezioni e non provoca stitichezza. I disturbi per i quali è stata specialmente raccomandata sono le nevralgie, la gotta, il tetano, l'idrofobia, il colera epidemico, le convulsioni, la corea, l'isteria, la depressione mentale, la pazzia, e le emorragie uterine". Nel 1860, la Cannabis è già così considerata da determinare la nomina di un "Comitato sulla Cannabis indica" da parte dell'Associazione medica dell'Ohio. Nel rapporto pubblicato da tale comitato (a cura di R.R. M'Meens) , si riconosce l'utilità della canapa per trattare tetano, nevralgie, emorragie post-partum, dolore del parto, dismenorrea, convulsioni, dolori reumatici, asma, psicosi post-partum, tosse cronica, gonorrea, bronchite cronica, dolori gastrici, e altro. Inoltre essa è utile come sonnifero e come farmaco capace di stimolare l'appetito. H.C.J. Wood riporta che la Cannabis indica è "usata soprattutto per il sollievo dal dolore; (…) per calmare stati di irrequietezza e malessere generale; per alleviare le sofferenze in malattie incurabili, come la tisi all'ultimo stadio; e infine come blando sonnifero". Secondo H.A. Hare, sarebbe soprattutto utile come analgesico, paragonabile per efficacia all'oppio, e in particolare nell'emicrania, anche in casi altrimenti intrattabili, in cui agisce anche come profilattico; nelle nevralgie; nella tosse irritativa; nonché come tranquillante-analgesico nei malati di tisi. Inoltre, sarebbe anche un efficace anestetico locale, particolarmente in odontoiatria. Anche il Lancet del 3 dicembre 1887 raccomanda l'uso di canapa indiana "notte e giorno, e continuato per un certo tempo" come "il miglior rimedio disponibile nel trattamento della cefalea persiistente", e ancora, più di vent'anni dopo, persino William Osler, uno dei padri della medicina moderna, ritiene la Cannabis "probabilmente il rimedio più soddisfacente" per l'emicrania. Invece J. Brown scrive sul British Medical Journal che la Cannabis indica "dovrebbe avere il primo posto nel trattamento della menorragia". Secondo Walton, in questo periodo molti medici sono "particolarmente entusiasti riguardo al valore della Cannabis nella dismenorrea e nella menorragia". E possiamo chiudere questa breve rassegna citando un lavoro di J.R. Reynolds, che nel 1890 riassume 30 anni di esperienza con la Cannabis, e la ritiene "incomparabile" per efficacia nell'insonnia senile; utile come analgesico nelle nevralgie, inclusa quella del trigemino (tic douloureux), nella tabe, nell'emicrania e nella dismenorrea (ma non nella sciatica, nella lombaggine e in genere nell'artrite, come nella gotta e nei "dolori isterici"); molto efficace negli spasmi muscolari di natura sia epilettoide che coreica (ma non nella vera epilessia); e invece di incerto valore nell'asma, nella depressione e nel delirio alcolico .
In Italia erano previsti dalla Farmacopea Ufficiale (F.U.) sia l'estratto che la tintura di Cannabis indica. Le indicazioni erano alquanto varie: per esempio, secondo il prof. P.E. Alessandri   la Canapa indiana "usasi nel tetano, nelle nevralgie, isterismo, emicrania, reumatismo, corea, asma, e in molte altre malattie non escluso il cholera, dando però quasi sempre resultati contraddittori". Pietro Mascherpa   afferma che essenzialmente si tratta di "un medicamento cerebrale e precisamente un analgesico analogo all'oppio e alla morfina", che può avere più o meno gli stessi usi di questi. Mascherpa riconosce però che la farmacologia della Cannabis è "poco conosciuta", e il suo uso per varie ragioni "piuttosto limitato". Egli riporta anche i dosaggi massimi per l'estratto di canapa indiana F.U.: 0,05 g per dose e 0,15 g per giorno.
A partire dal 1937, l'anno della proibizione americana, diventano assai rari i lavori che prendono in considerazione l'uso medico della Cannabis, ed è solo con la fine degli anni '70 che un timido interesse si risveglia, e che fra mille difficoltà – legate alla classificazione della Cannabis come sostanza "priva di valore terapeutico" – cominceranno a riapparire studi scientifici sulla Cannabis e i cannabinoidi  
    

La Cannabis indica – pianta probabilmente originaria dell'Asia centro-orientale – è stata usata in medicina per millenni. Era certamente coltivata in Cina nel 4000 a.C., ed è inclusa nella più antica farmacopea conosciuta, il Pen Ts'ao, tradizionalmente attribuita al mitico imperatore Shen Nung (III millennio a.C.). In India, il suo uso nella medicina tradizionale risale al II millennio a.C. In occidente, invece, il suo uso medico è stato sempre alquanto marginale, e ha assunto una certa rilevanza solo nel XIX secolo e nei primi decenni del XX.
Nell'antichità, la Cannabis indica fu considerata utile in numerose e assai diverse malattie. Il Pen Ts'ao la raccomanda per il trattamento di "disordini femminili, gotta, reumatismo, malaria, stipsi e debolezza mentale". Intorno al 220 d.C. il grande chirurgo cinese Hua T'o ne descrive l'uso a scopo analgesico e anestetico nei diversi sofisticati interventi "senza dolore" per cui era famoso. Altri medici cinesi scrivono che la canapa è utile nelle "malattie da deperimento e nelle ferite", nonché per "purificare il sangue, abbassare la temperatura, ridurre i flussi, risolvere i reumatismi, scaricare il pus". In India, la Cannabis è citata nell'Atharvaveda (II millennio a.C.) come "pianta che libera dall'ansia", mentre nel più antico testo medico della tradizione Ayurvedica, basato sulla dottrina di Susruta (II millennio a.C.), è citata semplicemente come "rimedio". In realtà, la Cannabis in India assume un ruolo del tutto particolare: come pianta sacra a Shiva, viene usata in rituali religiosi; come inebriante, è elemento centrale nella cultura popolare; e infine, come farmaco, viene utilizzata in diversi sistemi della medicina tradizionale (Ayurveda, Unani, Tibbi) e lo sarà fino ai nostri giorni. Secondo la "nota" curata da J.M. Campbell, e inclusa nell'Appendice III del famoso Indian Hemp Drugs Commission Report (1893-4), la bhang cura in primo luogo la febbre agendo "non direttamente ovvero fisicamente come un farmaco ordinario, ma indirettamente ovvero spiritualmente calmando gli spiriti rabbiosi a cui la febbre è dovuta"; inoltre ha molte altre virtù medicinali: "raffredda il sangue caldo, provoca il sonno negli ipereccitati, dona bellezza e assicura lunga vita. Cura la dissenteria e i colpi di calore, purifica il flegma, accelera la digestione, stimola l'appetito, corregge la pronuncia nella blesità, rinfresca l'intelletto, dona vivacità al corpo e gaiezza alla mente. (…) la ganja in eccesso provoca ascessi, o anche pazzia".
Per quanto riguarda il Medio Oriente e l'area mediterranea, in cui la Cannabis (specie nel mondo islamico) ha un grande ruolo come inebriante e "droga sociale", si hanno nell'antichità solo rare citazioni di interesse medico. Possiamo ricordare le tavolette mediche assire della biblioteca di Assurbanipal (VII sec. a.C.), che citano la canapa come antidepressivo; il grande Dioscoride (I sec. d.C.), che nella sua Materia Medica, non solo ci offre una delle più antiche raffigurazioni della Cannabis, ma anche ne raccomanda l'uso per mal d'orecchi, edemi, itterizia e altri disturbi; e infine, un secolo dopo, il più famoso medico della Roma imperiale, Galeno, secondo il quale le preparazioni di canapa vengono usate come dessert per "stimolare il piacere", ma possono anche servire contro le flatulenze, il mal d'orecchi e il dolore in genere. Usate in eccesso "colpiscono la testa, immettendovi vapori caldi e intossicanti".
Per tutto il Medio Evo e il Rinascimento, l'uso più importante della Cannabis è per ricavarne le fibre per corde, tessuti e carta. Le gomene, le sartie e le vele delle navi sono ottenute dalla canapa, ed è per questo che la pianta, già estesamente coltivata in Europa, viene immediatamente importata in America, al sud da spagnoli e portoghesi, e al nord da inglesi e francesi. Non mancano anche in questo periodo interessanti notazioni mediche: Garcia da Orta, medico portoghese di servizio presso il vicerè a Goa, in India, nel suo "Colloqui sui semplici e sulle droghe dell'India" del 1563 – forse il più importante documento sulle piante medicinali dopo l'erbario di Dioscoride – cita l'uso di Cannabis come stimolante dell'appetito, oltre che come sonnifero, tranquillante, afrodisiaco e euforizzante. E' certo che il suo libro – almeno fino a che quasi tutte le copie conosciute non furono bruciate dall'Inquisizione quando, dopo la sua morte, si scoprì che da Orta era in realtà ebreo – introdusse l'Europa all'uso medico di questa e altre droghe. Un contributo simile fu dato dall'opera di poco successiva "Sulle droghe e le medicine delle Indie Orientali" (1578) del suo collega Cristobal Acosta. Più tardi, anche Englebert Kampfer, medico-botanico-storico-diplomatico tedesco, ambasciatore del re di Svezia in Persia e poi medico capo della flotta della Compagnia Olandese delle Indie Orientali, descrisse nel suo "Amenitates exoticae" (1712) gli usi di molte piante medicinali, tra cui la canapa, in Persia e in India.
In Europa, Robert Burton nel suo classico "The anatomy of melancholy" (1621) suggerisce la possibile utilità della canapa in quella che oggi chiameremmo "depressione". Nel 1682, il New London Dispensatory afferma che la Cannabis "cura la tosse e l'itterizia ma riempie la testa di vapori". E il New English Dispensatory del 1764 raccomanda di bollire le radici della canapa e di applicare il decotto sulla pelle per ridurre le infiammazioni, nonché per "disseccare i tumori" e per sciogliere i "depositi nelle articolazioni". Nel famoso "Erbario" di Nicolas Culpeper (1812) vengono elencate in dettaglio tutte le applicazioni mediche conosciute della canapa, a partire da quelle suggerite dai classici di Dioscoride, Galeno e Plinio, ma nel Dictionaire des Sciences Médicales (Paris, 1813) si afferma che l'unica parte della pianta usata a fini medici in Europa sono i semi, ritenuti utili nella cura delle malattie veneree.
E possiamo concludere questa prima parte dedicata alla storia medica antica con una nota tassonomica, e cioè ricordando che nel 1753 Linneo battezzò la canapa Cannabis sativa, considerando l'esistenza di un'unica specie, mentre nel 1783 Lamarck ritenne, sulla base di significative differenze morfologiche, di dover distinguere il genere Cannabis in due specie distinte: la C. sativa, nativa dell'Europa, e la C. indica, propria dell'oriente.
L'importanza della Cannabis, sempre relativamente marginale nella medicina occidentale, fu decisamente accresciuta a seguito della campagna d'Egitto di Napoleone (1798), dopo la quale l'hashisch – inteso essenzialmente come sostanza inebriante ed euforizzante – divenne noto in Francia, anche se soprattutto in circoli intellettuali come il famoso Club des Hachischins, a cui parteciparono personaggi come lo psichiatra Moreau de Tours e artisti come Gautier, Dumas, Nerval, Hugo, Delacroix e Baudelaire. In effetti è dalla tradizione orientale, e soprattutto indiana, che la medicina europea e americana trarranno intorno al 1840 le loro conoscenze. Probabilmente, i testi che ebbero maggior influenza in occidente furono "On the preparations of the Indian Hemp, or Gunjah" di William B. O'Shaughnessy, medico inglese in servizio in India e "De la peste ou typhus d'orient suivi d'un essai sur le hachisch" di L. Aubert-Roche, oltre al "Du hachisch" già citato di J.J. Moreau de Tours, pubblicato nel 1845. Solo a partire da questo periodo si può dire che l'uso medico della Cannabis conobbe una certa diffusione anche in occidente: estratti e tinture a base di Cannabis rimarranno sugli scaffali delle farmacie – in Italia e in Europa come negli USA – sino alla seconda guerra mondiale e oltre.
Se Aubert-Roche riferisce sull'utilizzo dell'hachisch contro la peste, e Moreau de Tours lo considera sia uno strumento di indagine della mente, sia un farmaco efficace in varie malattie mentali (melancolia, inclusa la forma ossessiva di "idée fixe", ipomania, e malattie mentali croniche in genere), O'Shaughnessy attinge alla vastissima tradizione medica indiana e presenta il più ricco repertorio. Dopo un ampio excursus sulla letteratura medica, inclusa quella antica, O'Shaughnessy riferisce dettagliatamente sull'uso di Cannabis nelle seguenti condizioni: reumatismo acuto e cronico, idrofobia, colera, tetano e convulsioni infantili. Dopo un cenno al "delirio" causato dall'intossicazione cronica, riporta i metodi da lui impiegati per preparare l'estratto e la tintura di "gunjah", e i dosaggi consigliati nei diversi casi.
Fra il 1840 e il 1900, secondo Walton, furono pubblicati più di 100 articoli sugli usi medici della Cannabis.
Nel 1854 la Cannabis viene inclusa per la prima volta fra i farmaci dello U.S. Dispensatory, con le seguenti proprietà: "potente narcotico (…) Si dice che agisca anche come deciso afrodisiaco, che stimoli l'appetito e che occasionalmente induca uno stato di catalessi. (…) produce il sonno, allevia gli spasmi, calma l'irrequietezza nervosa, allevia il dolore. (…) [come analgesico] differisce dall'oppio perché non diminuisce l'appetito, non riduce le secrezioni e non provoca stitichezza. I disturbi per i quali è stata specialmente raccomandata sono le nevralgie, la gotta, il tetano, l'idrofobia, il colera epidemico, le convulsioni, la corea, l'isteria, la depressione mentale, la pazzia, e le emorragie uterine". Nel 1860, la Cannabis è già così considerata da determinare la nomina di un "Comitato sulla Cannabis indica" da parte dell'Associazione medica dell'Ohio. Nel rapporto pubblicato da tale comitato (a cura di R.R. M'Meens) , si riconosce l'utilità della canapa per trattare tetano, nevralgie, emorragie post-partum, dolore del parto, dismenorrea, convulsioni, dolori reumatici, asma, psicosi post-partum, tosse cronica, gonorrea, bronchite cronica, dolori gastrici, e altro. Inoltre essa è utile come sonnifero e come farmaco capace di stimolare l'appetito. H.C.J. Wood riporta che la Cannabis indica è "usata soprattutto per il sollievo dal dolore; (…) per calmare stati di irrequietezza e malessere generale; per alleviare le sofferenze in malattie incurabili, come la tisi all'ultimo stadio; e infine come blando sonnifero". Secondo H.A. Hare, sarebbe soprattutto utile come analgesico, paragonabile per efficacia all'oppio, e in particolare nell'emicrania, anche in casi altrimenti intrattabili, in cui agisce anche come profilattico; nelle nevralgie; nella tosse irritativa; nonché come tranquillante-analgesico nei malati di tisi. Inoltre, sarebbe anche un efficace anestetico locale, particolarmente in odontoiatria. Anche il Lancet del 3 dicembre 1887 raccomanda l'uso di canapa indiana "notte e giorno, e continuato per un certo tempo" come "il miglior rimedio disponibile nel trattamento della cefalea persiistente", e ancora, più di vent'anni dopo, persino William Osler, uno dei padri della medicina moderna, ritiene la Cannabis "probabilmente il rimedio più soddisfacente" per l'emicrania. Invece J. Brown scrive sul British Medical Journal che la Cannabis indica "dovrebbe avere il primo posto nel trattamento della menorragia". Secondo Walton, in questo periodo molti medici sono "particolarmente entusiasti riguardo al valore della Cannabis nella dismenorrea e nella menorragia". E possiamo chiudere questa breve rassegna citando un lavoro di J.R. Reynolds, che nel 1890 riassume 30 anni di esperienza con la Cannabis, e la ritiene "incomparabile" per efficacia nell'insonnia senile; utile come analgesico nelle nevralgie, inclusa quella del trigemino (tic douloureux), nella tabe, nell'emicrania e nella dismenorrea (ma non nella sciatica, nella lombaggine e in genere nell'artrite, come nella gotta e nei "dolori isterici"); molto efficace negli spasmi muscolari di natura sia epilettoide che coreica (ma non nella vera epilessia); e invece di incerto valore nell'asma, nella depressione e nel delirio alcolico .
In Italia erano previsti dalla Farmacopea Ufficiale (F.U.) sia l'estratto che la tintura di Cannabis indica. Le indicazioni erano alquanto varie: per esempio, secondo il prof. P.E. Alessandri   la Canapa indiana "usasi nel tetano, nelle nevralgie, isterismo, emicrania, reumatismo, corea, asma, e in molte altre malattie non escluso il cholera, dando però quasi sempre resultati contraddittori". Pietro Mascherpa   afferma che essenzialmente si tratta di "un medicamento cerebrale e precisamente un analgesico analogo all'oppio e alla morfina", che può avere più o meno gli stessi usi di questi. Mascherpa riconosce però che la farmacologia della Cannabis è "poco conosciuta", e il suo uso per varie ragioni "piuttosto limitato". Egli riporta anche i dosaggi massimi per l'estratto di canapa indiana F.U.: 0,05 g per dose e 0,15 g per giorno.
A partire dal 1937, l'anno della proibizione americana, diventano assai rari i lavori che prendono in considerazione l'uso medico della Cannabis, ed è solo con la fine degli anni '70 che un timido interesse si risveglia, e che fra mille difficoltà – legate alla classificazione della Cannabis come sostanza "priva di valore terapeutico" – cominceranno a riapparire studi scientifici sulla Cannabis e i cannabinoidi  
    

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